Coppa Victory
Così chiamata originariamente la coppa assegnata al vincitore del torneo mondiale di calcio.
Fu disegnata dall’orafo parigino Abel LaFleur come riproduzione in stile Liberty della Nike (la Vittoria Alata della Grecia classica) e realizzata in argento sterling placcato oro su una base di marmo bianco/giallo.
Questo coppa, ribattezzata nel 1950 Coppa Rimet, in onore di Jules Rimet, venne assegnata sino al 1970.
Proprio nel 1970, dopo nove edizioni del torneo mondiale, il Brasile sconfisse l’Italia nella finale di Città del Messico il 21 giugno. La Coppa venne definitivamente assegnata al Brasile, in ottemperanza al regolamento che prevedeva che fosse rimessa in palio ogni quattro anni e che fosse definitivamente assegnata a quel paese che l’avesse vinta per tre volte.
In quell’occasione fu consegnata da sir Stanley Rous, segretario FIFA successo allo stesso Rimet, nelle mani di colui che era unanimemente riconosciuto come il più degno a riceverla, l’uomo chiamato Pelé e a detta di tutti il più grande giocatore di tutti i tempi. Dalle sue mani, passò in quelle della Confederaçao Brasileira de Futebol, che la espose nella sua sede di Jacarepaguà, nei dintorni di Rio de Janeiro.
Partita da Genova su un piroscafo italiano nel 1930 alla volta dell’Uruguay, in Italia era ritornata quattro anni dopo destinata a rimanervi per ben sedici anni, metà dei quali a causa delle due vittorie azzurre e l’altra metà a causa della Seconda Guerra Mondiale. Durante la quale fu affidata alla custodia del Presidente della Federazione italiana Ottorino Barassi. Durante l’occupazione tedesca di Roma, dove risiedeva, Barassi ricevette la visita delle SS e della Gestapo, che cercavano appunto il prestigioso trofeo.
Dicono che i nazisti fossero interessati ai due chili d’oro fusi nella Coppa Rimet, altri che il Führer – grande appassionato di simboli esoterici che secondo la sua visione avrebbero reso la Germania invincibile – fosse interessato al valore trascendentale del trofeo destinato ai massimi vincitori del calcio.
Ad ogni buon conto, Barassi riuscì a salvare la Coppa e se stesso con uno stratagemma degno della letteratura poliziesca d’altri tempi: nascondendola in quello che era il posto più ovvio e perciò più sicuro, sotto il proprio letto. I nazisti gli rivoltarono la casa, ma lì non andarono a guardare, e così la Vittoria Alata poté arrivare quindi sana e salva a Rio de Janeiro nel 1950, quando i venti di guerra ormai si erano acquietati e il mondo aveva ripreso a giocare a pallone.